E' morto Lou Reed, poeta del rock. Cantò l'anima scura dell'umanità
UNA VITA nel nome del rock, e insieme della poesia, dell'arte, della magia e oggi anche della perdita, come il titolo di un suo album. E' scomparso a 71 anni Lou Reed, chitarra e voce dei Velvet Underground, e poi anima solista e solitaria, non sempre, perennemente alla ricerca di un suono e di un'anima. Sempre tormentata, con ogni tanto qualche "giorno perfetto".
Una vita a cantare e suonare New York, le ombre della città, il lato selvaggio che poteva essere quello di un marciapiede buio ma anche quello di un'esistenza scura. Una vita difficile da subito quella di Lewis Allan Reed, nato a Brooklyn e cresciuto a Long Island. Lo scorso aprile a Cleveland aveva ricevuto un fegato nuovo, con un trapianto. Ma già l'adolescenza è particolarmente difficile, con il trauma dell'elettroshock, utilizzato per "curare" una tendenza bisessuale. Un'esperienza destinata a segnarlo per sempre, che non reprime e forse aiuta lo sbocciare della sua ricerca creativa, attraverso la scrittura, la regia, la voce in radio in una sua trasmissione. E soprattutto la musica, e soprattutto il jazz, le note blu sempre tendenti al nero. Una ricerca letteraria realizzata attraverso l'elettricità della chitarra e il droning della voce, che non è quasi mai un cantato, e meno che mai un parlato. Una sospensione sonora e poetica quella del primo album dei Velvet Underground, che con pochi accordi dipinge tutta la tensione intellettuale e la linfa vitale di una New York come sempre indescrivibile. E che usa il dolore espresso dall'elettricità di una chitarra amata e maltrattata per chiudere nel passato tutti i canovacci e le categorie del rock come era stato pensato e suonato fino a quel momento, iniziando da The Ostrich che proprio di quegli stilemi si nutre per restituirli trasformati. La suonano con lui i Primitives in cui c'è già il polistrumentista visionario John Cale, che porterà Lou Reed dritto verso i Velvet Underground dopo aver scoperto un tesoro sonoro in un demo di Heroin.
Con l'arrivo di Sterling Morrison al basso e chitarre e Maureen Tucker alla batteria i Velvet Underground inziano dal primo album a ridefinire qualche concetto fino a quel momento imperante. Anche grazie all'innesto nel bacino di talenti e cervelli di Andy Warhol, la cui factory produce esecutivamente e artisticamente il primo lavoro della band. C'è una banana che si sbuccia sulla copertina bianca, ma il vinile è nero. Ed è tagliato dalle prime cicatrici del rock, Waiting for the man, All tomorrow's parties, l'incredibile Venus in furs e naturalmente Heroin. C'è la droga, c'è il sesso, e c'è quindi il rock, tagliato dalla malinconia e dagli sguardi enigmatici di Reed, ma c'è anche una quantità pura di una sintesi mai ascoltata prima, che consegna l'album alla storia.