Sculli accusato di aver venduto una partita
ROMA - Secondo i carabinieri, Giuseppe Sculli aveva venduto al Messina la partita-salvezza, giocata a Crotone il 2 giugno 2002. Lo scrive L’Espresso , nel numero in edicola da oggi, attraverso l’analisi di una serie di intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito dell’inchiesta del pm antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri. L’attaccante, oggi al Messina, all’epoca dei fatti giocava con i calabresi. La sua squadra era già retrocessa in C1 e lui stava per essere ceduto. Durante la gara, Sculli aveva voluto battere a tutti i costi una punizione, calciandola fuori. Il Messina, che ancora non era di proprietà di Franza, vinse la partita 2-1, dopo un momentaneo pareggio siglato proprio dal giocatore. Non era uno specialista nelle punizioni e la sua insistenza nel volerla tirare provocò una domanda da parte della fidanzata, che è stata intercettata. Risposta: «Perché c’era un ventello e io perdevo... i venti, il ventello amore. Ti compro un bel telefonino». Ma alla ragazza restò un dubbio: «E perché hai segnato?». Un gol, quello in mezzo alle due reti di Grabbi, che non serviva al Crotone, già retrocesso, ma soltanto a Sculli, magari per spaventare il Messina e indurre la squadra siciliana a sganciare qualcosa al giocatore. Sempre secondo alcune intercettazioni, nell’intervallo di quella partita successe di tutto: si passò dalle minacce alle botte. Sculli è il nipote di un boss della ’ndrangheta calabrese, Giuseppe Morabito, detto Tiradritto, padre della madre. Il pm Gratteri ha contestato a Sculli, già nazionale Under 21, l’associazione mafiosa per i metodi che avrebbe usato nel convincere i suoi paesani di Bruzzano Zeffirio, centro dell’Aspromonte, a votare per chi diceva lui alle elezioni. Crotone-Messina è una delle partite all’esame dell’Ufficio indagini della Federcalcio.